Intervista

La parola a... Graziella Priulla

Sociologa, saggista, già docente presso l'Università di Catania

[Cleared n°3 - anno XIX - marzo 2022]

La parola a... Graziella Priulla

Qualcuno afferma che l'8 marzo è una ricorrenza ormai superata che mette ancora più in risalto la discriminazione uomo/donna, sostenendo che "ogni giorno va festeggiata la donna". Peraltro, oggi con l'affermazione del gender può sembrare davvero una festa non più attuale?

Non è la “festa della donna” ma la “giornata internazionale delle donne”: vuol ricordare sia le conquiste civili, politiche, sociali sia le discriminazioni e le violenze che ancor oggi subiscono. Oltre 20 mila camiciaie newyorkesi, dal 22 novembre 1908 al 15 febbraio 1909, avevano sostenuto un lungo sciopero per i loro diritti che indusse le delegate americane a proporre, durante la seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste (agosto 1910), l’istituzione di una giornata dedicata alle rivendicazioni femminili. In Italia venne celebrata per la prima volta nel 1922. La scelta della mimosa come simbolo fu quasi obbligata: è uno dei pochi fiori a fiorire in quel periodo dell’anno e all’epoca aveva un altro pregio: non costava niente! Questa data ha perso oggi molto del suo significato di lotta, annacquandosi via via nella retorica di una ricorrenza dai caratteri prettamente commerciali. Ritualmente le istituzioni stesse fanno dichiarazioni di interesse per quella che chiamano “questione femminile”, per poi perderla di vista nel resto dell’anno. Pinkwashing, una sciacquatura di rosa.

La pandemia ha avuto un effetto dirompente sulle donne. Cosa ne pensa a tal riguardo?

Nelle crisi si manifestano e si accentuano tutte le contraddizioni. In particolare, si rendono più visibili e si inaspriscono le disuguaglianze: tra ricchi e poveri, tra garantiti e non garantiti, tra categorie. E tra i sessi: la più antica e pervicace. Vediamone le fattispecie:

  • Violenza: la violenza domestica è triplicata durante l’emergenza COVID.  La convivenza obbligatoria 24 ore su 24 per molte donne è diventata un incubo. Il convivente maltrattante può adottare comportamenti ancor più coercitivi e aggressivi in un contesto di incertezza e instabilità finanziaria.
  • Cura della famiglia: la chiusura delle scuole e dei centri diurni per le persone non autosufficienti ha aumentato a dismisura la mole del lavoro domestico e di cura. Il Covid ha messo in risalto che la cura di sé, cura degli altri, cura del mondo, tradizionali ruoli femminili, si dimostrano paradigmi di interesse generale che sostentano la vita ma non sono considerati lavoro.
  • Lavoro: nell’anno dello scoppio della pandemia il tasso di occupazione femminile è sceso al 49% dopo che nel 2019 aveva superato per la prima volta la soglia del 50%. In aggiunta, tra chi perde il lavoro la probabilità di non rientro è maggiore per le donne.

Se al termine di questa pandemia si ritornerà alla cosiddetta normalità, la tragedia non ci avrà insegnato niente.

Combattiamo da secoli per la parità tra uomini e donne, alla luce di tutte le esperienze fatte e dei risultati ad oggi raggiunti che società si troveranno ad affrontare le nostre figlie?

La parità formale (de jure) è solo un primo passo verso la parità materiale (de facto). In Italia abbiamo conquistato la prima ma la seconda per troppe è ancora un miraggio.

I cambiamenti ci sono stati, e tanti, ma non bastano a far dimenticare quanto rimane fermo oppure quanto in anni recenti ci ha rimandate indietro, coprendosi dietro il comodo alibi che tutto fosse ormai stato raggiunto.  Le discriminazioni che ancora colpiscono le donne nel mercato del lavoro, nella rappresentanza politica, nella divisione dei compiti domestici sono frutto di una cultura imbevuta di stereotipi e di pregiudizi, che le norme scalfiscono ma non infrangono. Quando diventa il filtro con cui si guarda la realtà, imbriglia le persone in consuetudini da cui è difficile svincolarsi. Esse condizionano il ruolo che si assume nelle relazioni, la strada formativa e professionale che si decide di intraprendere, la scelta del/della partner, l’educazione della prole.

Il piano educativo attuato da ogni agenzia di socializzazione, in primis la famiglia, è essenziale per la formazione di identità, linguaggi e orientamenti che non neghino le differenze (anzi le valorizzino) ma non le trasformino nella disuguaglianza che ha caratterizzato storicamente le relazioni tra uomini e donne. È probabile che occorreranno generazioni per superare l’impatto determinato da una mappa di regole confermate da secoli: ma almeno abbiamo iniziato a provarci, e le nuove libertà di cui godono le nostre figlie sono frutto dei nostri sforzi.

La presenza femminile nei ruoli di vertice è ancora così marginale nonostante le competenze delle donne siano almeno pari a quelle dei colleghi uomini. La colpa è delle donne che non sanno fare squadra?

Si sa, le donne non sono solidali tra loro, ciascuna vede nell’altra una rivale: perfino sull’Olimpo (il pomo della discordia!).” C’è una traccia di verità in questa affermazione. Come per ogni stereotipo di genere, i movimenti femministi lottano per decostruirlo, tessendo reti di solidarietà femminile di cui gli stessi Comitati Pari Opportunità sono frutto e testimonianza.

È un dato che ha una storia lunghissima, che ha governato i rapporti di potere e ha visto per le donne uno standard svantaggioso fatto di confini, divieti, limitazioni, esclusioni, costrizioni, discriminazioni, espropriazioni. Lo stereotipo negativo non influenza soltanto chi detiene i privilegi ma in molti casi influenza il soggetto stigmatizzato stesso che, col tempo, per essere accettato, lo integra nel proprio universo, vi si adatta e finisce con l’incarnarlo.

In più, non dimentichiamo che il cameratismo maschile è stato cementato nei secoli da attività da cui le donne erano escluse: in primis lo sport e la guerra, in cui la vittoria dipende dalla capacità di fare squadra. Le donne, confinate nell’ambito della propria casa, hanno sviluppato semmai una solidarietà familiare.

ENAV si è dotata negli ultimi anni di importanti strumenti per combattere i fenomeni discriminatori e da ultimo il Regolamento contro gli abusi e le molestie nel luogo di lavoro. Le aziende sono un presidio importante in questa lotta, è sufficiente quello che stanno facendo per tutelare le proprie risorse umane?

Non tutte le aziende dimostrano la stessa sensibilità, eppure il loro ruolo è determinante per realizzare nei fatti una parità di condizioni tra lavoratori e lavoratrici.

Ne ho fatto esperienza recente in molte occasioni ed anche in un apprezzato convegno sul tema organizzato proprio dall’ENAV, che accogliendo gli stimoli a crescere in questa tematica in termini di sensibilizzazione delle proprie risorse umane, mostra di voler essere una realtà aziendale attenta e inclusiva. Anche presso un’importante multinazionale dove ho tenuto, di recente, un corso di diverse settimane su linguaggi, stereotipi, pregiudizi legati al genere, ho riscontrato la stessa volontà.

Altrettanto importanti e gratificanti sono le innumerevoli iniziative che si tengono quotidianamente nelle scuole, nelle sedi di gruppi e associazioni, nelle pubbliche amministrazioni di ogni livello e nei sindacati. C’è molto fermento, ed è un bene.

A dicembre è stato modificato il Codice delle pari opportunità che ha introdotto la certificazione di genere. Si stanno moltiplicando le norme che supportano le aziende nei percorsi di crescita nei temi della parità di genere, ma perché l’affermazione della donna o la sua parità rispetto all’uomo devono essere sancite e perseguite attraverso una norma, magari con qualche agevolazione?

Nella classifica del Gender Equality Index dell’European Institute for Gender Equality l’Italia si colloca in 14ma posizione, con un punteggio di 63,5 punti su 100, inferiore di 4,4 punti alla media UE. Secondo le stime, un'occupazione delle donne anche solo al 60% porterebbe un aumento del PIL del 7%. La legge 16/2021 modifica il Codice delle pari opportunità per provare a invertire la rotta sul ritardo nella partecipazione femminile al mercato del lavoro e sulle differenze retributive e di carriera a svantaggio delle donne, in ossequio agli obiettivi strategici del PNRR. Le imprese che conseguiranno una certificazione positiva rispetto a svariati indicatori (uguali condizioni nei percorsi di carriera, stesso salario a parità di competenze, forme di sostegno alla maternità) otterranno, è vero, uno sconto sui contributi da versare allo Stato e avranno agevolazioni per l’accesso a bandi e fondi pubblici. Gli importi stanziati sono irrisori, ma la novità è importante perché le aziende siano portate a riflettere sul problema e a cercare soluzioni concrete; ciò gli consentirà di accedere a gravi contributivi se certificate come eque. Se da una parte, la visibilità per le aziende di intraprendere un percorso virtuoso è condivisibile, il “premio” monetario a cui possono accedere mostra che serve ancora del tempo per concepire l’uguaglianza di genere non come un costo per il quale le imprese devono essere compensate, ma un vantaggio ed un elemento di giustizia sociale come definito negli obiettivi cardine dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.

La parola a... Graziella Priulla