Intervista

La parola a...Sergio Barlocchetti

Flight test engineer

[Cleared n°5 - anno XVI - maggio 2019]

Barlocchetti

Ingegner Barlocchetti, lei opera nel settore aeronautico da più di 25 anni ricoprendo vari ruoli da manager, pilota, giornalista e ingegnere aeronautico; qual è l’attività che svolge un Flight test engineer quale lei è?

Si tratta di una professione che negli ultimi due decenni è molto cambiata, ma che resta l’interfaccia più efficace tra il collaudo di macchine volanti e la loro produzione in serie. Ho iniziato nel 1991 nell’Unione Sovietica (che si sarebbe dissolta alla fine di quell'anno), presso la Sokol e volavo insieme con i piloti collaudatori munito di carta e matita agganciati al cosciale, con una calcolatrice scientifica portata dall’Italia. La telemetria, ovvero l’invio di dati e parametri dall’aeroplano a terra, era molto limitata. I modelli dei prototipi andavano in galleria del vento e poi si doveva verificare tutto per aria. Oggi con la modellazione tridimensionale e la fluidodinamica computerizzata conosciamo come vola un aeroplano prima che sia costruito. Si vola meno di allora e si hanno a disposizione sistemi incredibilmente potenti che consentono la trasmissione di una moltitudine di parametri, di comunicazioni audio e video. Ma se è ormai difficile che un aeromobile si rompa in volo, purtroppo capitano ancora incidenti gravi, come quelli accaduti al convertiplano AW609 e ai Boeing 737Max, proprio a causa di software e leggi di controllo “scritte” sui computer. Cambia la tecnologia e con lei il tipo di possibili guai, ma quella dello FTE resta una professione che insegna a porsi i dubbi perché non accadano disastri. Gli FTE sono le figure che nelle aziende si scontrano più spesso con i programmi crono-economici dei manger, una lotta vecchia come l’aereo dei fratelli Wright.

 

Il settore dei droni e degli aerei senza pilota sta avendo uno sviluppo impressionante, ci può dare un breve quadro tecnologico e prospettico sull’argomento dalla sua esperienza nel campo dei velivoli unmanned?

L’aviazione è un fatto di cultura prima che di abilità, ed è un’attività nella quale si manifestano senza sconti tutti i pregi e i difetti umani. Non a caso il settore unmanned sta ripercorrendo la storia del volo ma a velocità decuplicata, avendo a disposizione componenti e tecnologie avanzate. La sfida quindi non è far volare un mezzo da solo, ma integrarlo nel sistema aviazione e in particolare nell’organizzazione degli spazi aerei, che sono frutto di 115 anni di evoluzione. Spesso si tende a dimenticare che l’avventura dell’uomo nel cielo è cominciata soltanto poco più di un secolo fa, un arco temporale nel quale le norme e le regole che abbiamo sono state scritte dagli incidenti causati da errori. La sicurezza dunque arriva dall’affidabilità e questa dal tempo. Così non sempre la tecnologia più avanzata è al tempo stesso anche quella più opportuna da impiegare. Per questo motivo, se la scelta di sistemi vetusti è anacronistica, quella di tecnologie non ancora completamente esplorate è rischiosa. Nel caso dei droni penso per esempio al 5G e all’internet delle cose (IoT), che non sarà un placebo come molti immaginano: ci sarà da studiare parecchio, quindi occorre poter sperimentare di più e contemporaneamente in varie direzioni. A cominciare dai sistemi “sense and avoid” perché gli unmanned possano vedere ed evitare altri traffici, e questo passa dalla creazione di uno standard tra i sistemi di scambio dati tra tutti gli utenti del cielo, soprattutto per chi opera nelle quote più basse e a vista, come elicotteri, deltaplani, Apr, velivoli di aviazione generale e ultraleggera, eccetera. Se negli spazi aerei controllati i transponder in modo “S” sono efficienti e installati sulla quasi totalità dei mezzi, a bassa quota tutti devono poter vedere tutti, ma la maggioranza di questi aeromobili non ha dimensioni e costi tali da poter impiegare i transponder. Occorre poi lavorare a livello ICAO per l’assegnazione di alcune bande di frequenza dedicate esclusivamente per il comando e controllo degli Uav civili. Risolti questi problemi l'umanità potrà usare mezzi pilotati in remoto o automatizzati per una molteplicità di servizi e di forme di mobilità.

 

Quali sono i fondamentali della sicurezza nel volo autonomo e automatico?

Credo inannzi tutto che sia necessario chiederci con realismo che cosa vogliamo fare con queste macchine. Ovvero riconoscere che il dubbio è alla base della certezza. E in funzione di quello bisogna progettare bene. Se vogliamo che una sacca di sangue o un organo umano volino da un ospedale all’altro non possiamo fermarci se piove, se c’è nebbia o un po’ di vento, se ci sono ostacoli, interferenze o altri veicoli in traiettoria, E' imperativo liberarci delle troppe variabili in gioco, come hanno fatto lentamente i militari che ormai hanno milioni di ore volo d’esperienza, eppure non possono ancora fare “tutto”. In campo civile bisogna innanzi tutto progettare i droni civili intorno al sensore o al tipo di missione che essi devono compiere e per l’impiego nell’ambiente peggiore che possano incontrare. Mentre ancora troppo spesso si cerca di adattare al trasporto di beni droni nati per portare al massimo una videocamera quando c'è il sole. Ma più questi mezzi sono piccoli, più la faccenda si complica dal punto di vista tecnologico per l’impossibilità di usare materiali e sistemi aeronautici tradizionali. Spesso per la fretta di sfruttare investimenti comunitari o per recuperare quanto prima il denaro investito, sono stati fatti errori grossolani e le aziende sono fallite. Contemporaneamente serve addestrare i piloti civili di droni ai pericoli del pilotaggio remoto oltre la visuale diretta (Bvlos), perché non siano vittime della magnificazione o della cosiddetta “tunnel vision” e di altri fenomeni pericolosi. C’è anche da lavorare su una gestione delle emergenze che vada oltre il “terminatore di volo” dotando questi Uav di programmi tali da metterli al sicuro sia in caso di perdita del segnale Gps o di quello di comando e controllo, sia in caso di avaria alla propulsione. Penso in certi casi all’impiego del paracadute balistico, che ormai è installato anche su un piccolo jet passeggeri da sette posti. Si deve quindi migliorare in tutte le direzioni raccogliendo il frutto dell’esperienza già maturata, perché anche su un drone, come su un aeromobile tradizionale, funzioni tutto, tutto insieme, per tanto tempo. Detta così sembra facile...

 

Siamo all’inizio di un’avventura che porterà gli aerei senza pilota verso frontiere impensabili, ci sono dei gap normativi ad oggi in questo settore?

Se pensiamo che durante la seconda guerra mondiale gli italiani tentarono di mandare un Gobbo maledetto radiocomandato sulla flotta inglese, siamo già a strada inoltrata, ma i gap sono ancora molti, a cominciare dal non aver ancora bene chiaro se il pilota di un Uav lo è davvero, quando è invece considerato un operatore di sistema oppure un dilettante. E contemporaneamente serve informare meglio l’utenza, poiché possiamo avere tutti i regolamenti che vogliamo ma un turista giapponese che arriva a Fiumicino col drone in valigia può non sapere che in Europa esistono delle regole e decolla accanto al Colosseo. Sul piano dell'informazione siamo carenti. Sono favorevole al fatto che applicazioni informatiche e connessioni di rete avanzate aiutino il pilota o l’appassionato a capire dove può volare e dove sia vietato, ma credo che la decisione finale spetti sempre a quest’ultimo. Essere piloti di qualsiasi cosa è innanzi tutto saper decidere per la propria e l’altrui sicurezza. Tecnicamente l’aviazione è sempre stata, ed è tuttora, un indicatore precoce dell’andamento economico della società, e il rallentamento delle attività sperimentali sottintende sempre una mancanza di visione e di fiducia da parte degli investitori. Se l’aviazione commerciale ha recuperato il gap del periodo pre-crisi, altrettanto non si può dire dell’aviazione generale e di quella privata, che però rappresentano l’incubatrice delle nuove idee. In Italia bisognerebbe riportare la cultura aeronautica nelle attività scolastiche con l’aeromodellismo e con l’insegnamento delle applicazioni tecniche, che grazie ai droni offrono la possibilità di entrare in contatto con i rudimenti della meccanica, dell’informatice e dell’elettronica come dell’aerodinamica. Poche attività come la costruzione dei droni offrono questa multi-disciplinarità. Sarebbe compito dell’Aero Club d’Italia, ente che però negli ultimi vent’anni ha mancato nella sua missione. Purtroppo nelle università, sia nelle facoltà umanistiche dove si studia diritto della navigazione (materia che con l’arrivo dei droni deve evolvere), sia in quelle scientifiche, l’unica materia che non viene studiata è “Airmanship”, ovvero la capacità dell’essere umano di stare a contatto con le macchine volanti, siano piccole o grandi, pilotate o radiocontrollate.

 

Nel famoso film di Ridley Scott Blade Runner del 1982 si prefigurava come sarebbe stato il mondo nel 2019; gli androidi sono stati inventati, a quando i droni Taxi?

Saliremo su droni volanti che non è detto ci lasceranno pilotare, e lo faremo entro breve tempo, almeno stando ad EASA, ente che insieme ai colossi dell’aviazione mondiale e ad alcune aziende legate all’innovatizione sta scrivendo i principi sui quali creare una norma di certificazione per poter far salire a bordo di sistemi automatizzati degli esseri umani da trasportare. Dal punto di vista sperimentale già ci siamo, ma per avere un quadro pienamente operativo credo che ci vorranno almeno altri vent’anni. Correndo troppo rischiamo di pagare a caro prezzo qualsiasi scorciatoia. Oggi sulle macchine volanti l’elettronica è la parte più tecnologicamente avanzata, mentre ancora molto bisogna fare per migliorare l’efficienza delle batterie destinate ai motori elettrici. Queste saranno espressione della tecnologia ponte per quella successiva delle celle a combustibile. Altrettanto non possiamo però dire si quanto stiamo facendo per rendere stabili i software di controllo dei mezzi e migliorare le prestazioni aerodinamiche di eliche e ali, perché con l'elettronica si fa volare “qualsiasi cosa”. Infine mi preoccupa l’invecchiamento di queste macchine ultra-connesse, sia dal punto di vista meccanico, perché strutture alleggerite al limite tendono a perdere le loro caratteristiche meccaniche, sia a livello elettronico. Se pensiamo che un telefonino nuovo diventa obsoleto dopo due anni, non possiamo permetterci che un taxi volante cada perché non ha finito l’aggiornamento. In poche parole occorre non stancarsi mai di imparare per poi sperimentare e quindi comprendere quanto accade per imparare sempre di più. Ogni euro speso per una ricerca concreta e finalizzata è ben speso.

 

Quando si parla di cultura aeronautica che cosa si intende esattamente e che cosa c'entra con i droni professionali?

Gli italiani prima dell'ultima guerra detenevano 32 dei 33 record riconosciuti dalla Federazione Aeronautica Internazionale. Oggi sono 5, dei quali 3 imbattutti da quegli anni. Guardiamo la Formula Uno e andiamo in tanti ad ammirare le Frecce Tricolori, ma la maggioranza di noi ignora tutti i campionati delle dodici specialità sportive dell'aria. Eppure vinciamo spesso i mondiali di queste discipline. Considerate tutte le forme di pilotaggio, dal deltaplano alle mongolfiere, dai droni all'acrobazia aerea passando per il volo a vela degli alianti e all'aeromodellismo, fino ai professionisti, tra noi c'è un pilota ogni ottocento abitanti contro uno su quattrocento della Germania e uno su duecentocinquanta degli Usa. Eppure l'aviazione in tutte le sue forme è una fenomenale palestra di disciplina ed etica che insegna il rispetto di regole, per il solo fatto che una volta ai comandi - non importa di che cosa - non possiamo più mentire a noi stessi.